Buongiorno lettori,
dopo qualche giorno di assenza per un viaggio a Barcellona, ritorno attiva sul blog con tanti bei contenuti!
Oggi vi propongo un'intervista all'autrice di "Nessuno può fermarmi" (trovate qui la recensione), Caterina Soffici. È stato un piacere poterle porre delle domande, e leggendo le risposte vi accorgerete di quanto la scrittrice sia instancabile e piena di passioni.
“Chi non conosce la storia è condannato a ripeterla”
Questa frase di George Santayana, filosofo spagnolo, è impressa nella mia mente da tempo, e da quando ho letto il tuo libro è tornata a fare capolino tra i miei pensieri. La tragedia che hai raccontato è in parte colpa della “paura dello straniero”, un problema che oggi più che mai tiene sotto scacco la nostra società. Qual è il messaggio che volevi trasmettere ai tuoi lettori?
“Infatti, io racconto come si costruisce la figura del nemico, dello straniero. Diamo sempre per scontato che viviamo in un tempo di pace e di amicizia tra i popoli, ma in verità le cose possono cambiare molto velocemente, come è capitato in passato e come racconto nel mio libro. Bisogna stare attenti a maneggiare certi spauracchi, perché come cito anche nel libro, siamo sempre lo straniero di qualcun altro. Quella volta gli stranieri eravamo noi, e potremmo tornare ad esserlo!".
Nella vicenda del naufragio dell’Arandora Star ti sei imbattuta per pura casualità, ma cosa ti ha spinto a studiarne i dettagli per poi parlarne in un romanzo?
“Questo romanzo è venuto a cercarmi, come i suoi personaggi. Ho visto una targa che commemorava le vittime della tragedia nella chiesa di St Peter a Londra e ho subito capito che quella storia andava scritta come un romanzo. Perché volevo ridare vita a quella vicenda e a quelle persone. E non c’è modo migliore di un romanzo per suscitare emozioni, creare compassione, dare uno spessore a una vicenda che ha molti aspetti e sfaccettature.
Si indaga sull’amicizia, sull’amore, sul senso di colpa, sull’identità, sulla memoria".
I protagonisti e la loro caratterizzazione sono uno dei punti di forza del tuo romanzo.
Flo e Bartolomeo sono i miei preferiti perché li ho trovati perfetti nonostante le loro profonde debolezze. Come si sono fatti strada nella tua immaginazione?
“Come dicevo prima, sono venuti loro da me. Credo che succeda a molti scrittori. Non sei tu a scegliere i personaggi, ma loro a scegliere te. Flo mi è venuta a cercare dopo il mio primo incontro con una signora oggi 92enne, figlia di una delle vittime. Ho visto lei e ho visto Flo. Il ragazzo non ha una genesi così netta, ma una mattina, quando ho aperto il computer per mettermi a scrivere, l’ho trovato lì, che mi aspettava".
Dal 2010 abiti a Londra. Negli ultimi tempi hai avvertito dei cambiamenti nel comportamento nei confronti degli immigrati?
“Il voto su Brexit non ha ancora cambiato niente formalmente, ma è successo qualcosa che sarà difficilmente sanabile. Niente sarà più come prima, mi aveva detto Hanif Kureishi, che abita vicino a me e ci incontriamo spesso al supermercato a fare la spesa. Ricordo che mi disse questa frase il giorno prima del referendum. E aveva ragione. Si è creato un sentimento che a Londra era sconosciuto: il noi e il voi. Noi inglesi, voi stranieri. Sono stati sdoganati atteggiamenti e comportamenti che solo un anno fa sarebbero stati inconcepibili. Tipo, in metropolitana sentire qualcuno che sbotta: questi polacchi, non stanno in coda. Forse lo pensavano anche prima, ma non l’avrebbero mai detto e soprattutto non l’avrebbero mai riferito a una nazionalità in particolare. Polacchi, italiani o turchi, fa lo stesso”.
Credi che le parole abbiano il potere di cambiare la vita delle persone e per questo collabori con la fondazione Ministry of Stories che ha l’obiettivo di insegnare a bambini e ragazzi l’importanza del racconto. Questa esperienza ha in qualche modo influenzato la tua scrittura?
“L’unico modo per sconfiggere l’ignoranza, da cui nascono i pregiudizi, il razzismo, la paura del diverso è avvicinare i giovani ai libri, alle parole. La creatività è uno strumento potentissimo in questo senso. Può essere una vera medicina per curare i mali sociali di cui parliamo. Mali sociali e anche disagi personali, che spesso poi le due cose vanno a braccetto. E vedo che i risultati ci sono”.
Alla lettura io associo sempre la musica. C’è qualche brano che ti ha tenuto compagnia durante la stesura di “Nessuno può fermarmi”? Se la risposta è no, che metodi hai usato per concentrarti o ritrovare l’ispirazione nei momenti di blocco creativo?
“In genere ascolto musica a caso, metto le cuffiette e una playlist, ma senza farci troppo caso. Lo faccio per isolarmi dal contorno, perché con la vita che faccio mi capita di scrivere in vari luoghi, anche molto rumorosi. Con questo libro invece è stato diverso: mi sono fissata con La Traviata, che faccio cantare a Margherita quando cucina. E’ diventata un mantra, quando iniziavo a scrivere avevo bisogno di sentire la voce della Callas.
L’altra cosa per me è il nuoto. Cerco di andare in piscina appena posso. A Londra ho trovato una piscina riscaldata all’esterno, dove nuoto anche d’inverno. La prima volta che ho visto gli inglesi nuotare a dieci gradi ho pensato che fossero mezzi matti. Adesso sono mezza matta anche io, perché lo trovo normalissimo. Anzi, necessario. Flo e Bart hanno nuotato insieme a me e chissà quanti chilometri si sono fatti. Il nuoto per me è una forma di meditazione, ti libera dai pensieri, schiarisce la mente e quando mi incastravo su qualche passaggio o non avevo le idee chiare, immergermi nell’acqua e procedere senza rumori intorno ma solo seguendo il rumore del mio respiro mi è stato indispensabile”.
Avete visto? Abbiamo davvero parlato di tutto: storia, società, scrittura e musica...e ora vi lascio con un'aria de La Traviata, "Amami Alfredo", cantata dalla divina Maria Callas.
"Sarò là, tra quei fior, presso a te sempre.
Sempre, sempre presso a te!
Amami, Alfredo,
Quant'io t'amo!"
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